Introduzione allo Sciamanismo
Lo sciamanismo, nato decine di migliaia di anni fa, è la pratica spirituale più antica conosciuta dal genere umano; è un fenomeno religioso che riguarda pressoché tutte le culture umane, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. In tutte le religioni, in tutte le sfere di ritualità in cui l’uomo cerca un rapporto con l’alterità divina, esiste un frammento di sciamanismo. Gli studiosi sono concordi nell’affermare che queste religioni definite “tradizionali” siano molto complesse e difficili da decifrare, poiché presso i popoli “primitivi” tutto era affidato alla tradizione orale. Non esistono testi scritti, non ci sono archivi né raccolte di documenti, solo racconti, talvolta in veste di favola, proverbi, miti e norme che i vecchi tramandano ai giovani ripetendoli instancabilmente la sera attorno al fuoco o nei momenti di festa e di solennità per il villaggio. Queste consuetudini, sono la struttura portante, l’anima del popolo.
Nel mondo ci sono oggi circa 100 milioni di persone che, pur non appartenendo ad alcuna delle religioni maggiormente diffuse (cristianesimo, islam, buddhismo, induismo, ecc.) seguono tuttavia una propria fede, ricca di miti e tradizioni.
Negli anni passati tutti costoro venivano facilmente etichettati col termine “primitivi”, un appellativo spesso carico di diverse valenze negative: senza-cultura, senza-Dio, senza-scrittura, senza-tecnica, quindi selvaggi, uomini ancora all’inizio della scala della crescita e dell’evoluzione umana.
Originariamente legato alle culture di cacciatori-raccoglitori, lo sciamanismo appare diffuso quasi ovunque nel mondo, ma la sua “terra di elezione” é l’Asia centrale e settentrionale, dove costituisce un tratto culturale unificante tra le popolazioni altaiche, uraliche e paleo-siberiane. Proprio su di esso abbiamo le più antiche testimonianze nelle fonti classiche: in uno scritto di Erodoto, è descritta una cerimonia, intesa dallo storico greco come un rito di purificazione, che è stata messa a confronto con un rito sciamanico di accompagnamento dell’anima del defunto. Il trattato attribuito ad Ippocrate, Dell’aria, delle acque, dei luoghi (5° sec. a.C.), descrivono gli enarei, una comunità sacerdotale degli sciti, probabilmente “sciamani professionisti”, dediti all’alterazione psico-sensoriale.
I documenti paletnologici e preistorici di cui disponiamo non vanno oltre il paleolitico e nulla ci impedisce di credere che durante le centinaia di migliaia di anni che hanno preceduto l’età della pietra, l’umanità non abbia conosciuto una vita religiosa intensa e significativa come quella delle epoche successive. Nessuna religione, infatti, è mai completamente “nuova”, si tratta piuttosto della rifusione, del ringiovanimento, della rivalorizzazione o integrazione di elementi religiosi essenziali, le cui origini ancestrali non possono trovare una precisa datazione.
Il termine “sciamano” fa la sua prima apparizione alla fine del XVII secolo, quando l’arcivescovo russo ortodosso Avvakum, esiliato in Siberia, definisce così un suo oppositore religioso, alleato del diavolo anziché di Dio, del quale testimonia gli stravaganti riti caratterizzati dal movimento incontrollato del corpo e da una forte gestualità. All’interpretazione demonologica del fenomeno, propria dei missionari e dei sacerdoti cristiani, si è affiancata nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, una visione fortemente condizionata dall’Evoluzionismo e dal Positivismo: lo sciamanismo, caratteristico di culture e religioni considerate arretrate, andava sconfitto in nome della civiltà e del progresso. A riabilitare il fenomeno dello sciamanismo, pesantemente gravato da pregiudizi evoluzionistici, è stato lo storico delle religioni Mircea Eliade, autore dell’opera monumentale Le Chamanisme et les techniques archaìques de l’extase del 1951.
Lo sciamanismo deve il suo nome a un tipo di operatore religioso, lo sciamano: parola russa derivata da saman di origine tungua, lingua della Siberia dell’Est, che significa colui che è sconvolto, turbato, trasportato…o anche colui che sa. Tale termine appartiene a quella particolare categoria di concetti etnografici usati universalmente anche al di fuori dei propri contesti culturali di appartenenza.
Mircea Eliade, nella suddetta opera ci riporta all’etnografia dei Tungusi siberiani, a cui si fa solitamente risalire l’etimologia della parola sciamano, anche se molti studiosi ne fanno risalire l’origine al Vedico sram, che significa riscaldarsi o praticare austerità e sramana, praticante di austerità o ascetismo. Secondo Sir Harold Bailey (citato in Blacker 1975:318), la parola venne in Asia dall’India al Regno Shab con samana, raggiunse la Cina come shamen, ed il Giappone come shamon. L’uso del termine sciamano, volutamente generale e indefinito, si estese nel corso dell’Ottocento, allorché si scoprì che personaggi analoghi, esistevano in ogni parte del mondo in varie società primitive sia del passato che contemporanee.
Lo sciamano trae dalla Natura che lo circonda, ispirazione, consigli, aiuti per i rituali di guarigione e di protezione, ponendosi come intermediario tra gli uomini e il Divino. Egli non studia la natura, ma comunica con essa, usando gli strumenti che essa stessa gli fornisce per rivelarsi all’uomo. Costui riesce a connettersi con gli esseri viventi “viaggiando” in una “realtà non ordinaria”, raggiungendo uno “stato sciamanico di coscienza”.
Nel mondo dello sciamano tutto è reale, egli non considera le proprie visioni come proiezioni o immagini puramente interiori, ma come esperienze dirette di una realtà che esiste indipendentemente dalla mente, ma alla quale la mente fornisce l’accesso. Lo sciamano viaggia nella realtà non ordinaria in quelli che sono chiamati Mondo di Sotto, Mondo di Sopra e Mondo di Mezzo. La realtà non ordinaria diventa un prolungamento di quella ordinaria, si sovrappone ad essa, i suoni dei due mondi creano accordi planetari, il canto dello sciamano è il canto dei 3 mondi nei quali il “viaggiatore cosmico” ha libero accesso, servendosi di “spiriti-guida” che lo assistono nell’affrontare il “viaggio”. Attraverso la danza, il costume e tutti i parafernalia, lo sciamano si identifica con la divinità, diventa una manifestazione del potere della Natura, invoca una presenza che lo aiuta a trascendere il mondo fisico. Il “viaggio” è l’elemento centrale dello sciamanismo, un metodo per contattare le entità del mondo invisibile, che lo differenzia da ogni altra pratica spirituale. Mentre in altri tipi di lavoro spirituale si chiamano gli spiriti, in questa realtà, lo sciamano lavora in modo opposto. Trasportato dal suono del tamburo, egli lascia la realtà ordinaria del mondo quotidiano per viaggiare nei regni non ordinari in cui gli spiriti dimorano.
Lo sciamano è un medicine-man, un guaritore, un individuo dotato di un prestigio magico-religioso, capace di estrarre dal corpo del malato le “sostanze” responsabili della malattia, oppure di “recuperare” nell’aldilà l’anima fuggita al malato; è una figura predominante insomma, dove il viaggio estatico è considerato l’esperienza religiosa per eccellenza e lui soltanto è il gran maestro dell’estasi, capace di dominare il fuoco, separarsi dalla sua anima e fargli intraprendere ascensioni celesti (Mondo di Sopra) ed infernali (Mondo di Sotto). Eliade ha chiamato “estasi”, nel senso originario di “uscir fuori”, questa capacità di trascendere la realtà ordinaria o fisica e penetrare in una realtà di ordine diverso.
Il termine estasi, tuttavia, non deve suggerire l’idea di un’esperienza mistica di comunione ineffabile con il divino. Il viaggio sciamanico è un’esperienza lucida e prettamente attiva, in cui lo sciamano interagisce in modo autonomo e volontario con le entità del mondo spirituale: come egli intraprende volontariamente il suo viaggio nel mondo degli spiriti, così è metodologicamente capace di ritornare in modo sicuro e con un bagaglio di nuove conoscenze. Anche la definizione data da Eliade di “tecnica dell’estasi”, mette in luce il carattere intenzionale, consapevole e disciplinato del viaggio sciamanico. Lo stesso Michael Harner, utilizza il termine sopra citato, “stato sciamanico di coscienza”, per sottolineare il fatto che si tratta di uno stato vigile, un termine preferibile a quello di “trance”, che può suggerire l’idea di un offuscamento o di una perdita della coscienza. In un certo senso, si può dire che lo sciamano viaggia “con il corpo”, anziché “fuori del corpo”.
L’approccio allo sciamanismo è empirico ed è andato via via perfezionandosi nel tempo fino a raggiungere metodologie e tecniche efficaci. La fondamentale uniformità dei metodi sciamanici in tutte le culture, indica che, attraverso prove ed errori, i popoli sono arrivati alle stesse conclusioni: gli storici delle religioni e gli antropologi pensano che l’iniziazione e la capacità di “viaggiare” nel mondo soprannaturale siano due aspetti centrali di ogni forma di sciamanismo.
Occorre, tuttavia, fare una distinzione tra sciamani e sacerdoti. I sacerdoti, in una società tribale o civilizzata, eseguono tipicamente cerimonie basate su complesse liturgie tradizionali e su riti da compiere in modo istituzionalizzato. Benché gli sciamani possano elevare preghiere e presentare offerte, lo sciamanismo è un’attività dove lo sciamano passa dalla realtà ordinaria ad un’altra. Vi sono culture che accomunano la figura dello sciamano a quella del sacerdote, diventando sciamano-sacerdote. Un esempio è dato dai mara ‘akame degli Huichol del Messico non-occidentale. Per diventare mara ‘akame occorre dedicare anni al perfetto apprendimento delle liturgie, nello stesso tempo, un mara ‘akame impara a indurre cambiamenti di coscienza e fare un viaggio sciamanico con l’aiuto di allucinogeni locali come il peyote e la datura. Nelle società tribali, sia la figura dello sciamano e quella del sacerdote, hanno un notevole peso e valore tradizionale per la comunità.
Altro elemento importante è il rapporto dello sciamano con gli “spiriti”. Sia nel mondo primitivo che in quello moderno, troviamo individui che asseriscono di essere in contatto con gli “spiriti”, riuscendo talvolta a dominarli o ad esserne “posseduti”. Lo “spirito” può essere sia l’anima di un defunto, sia uno “spirito della natura” o un animale mitico. Non tutti gli “spiriti” hanno un grande potere, quelli che lo hanno, nelle culture sciamaniche vengono chiamati semplicemente “poteri”. Una fonte da cui lo sciamano attinge le sue conoscenze, sono gli “spiriti alleati”, generalmente animali, che lo proteggono nelle fasi rischiose della sua attività, sono i suoi consiglieri, i suoi compagni di viaggio. Tra lo sciamano e i suoi spiriti, si instaura un rapporto di familiarità. Durante un rito sciamanico, il medicine-man non entra in contatto con un qualsiasi spirito, ma con entità con le quali ha instaurato un rapporto concreto, diretto, questi spiriti vengono chiamati “ausiliari”.
Vedere uno spirito in sogno o nello stato di veglia è un chiaro segno che si è ottenuta una “condizione spirituale”, vale a dire che la condizione umana profana è stata superata.
I maghi andamanesi, ad esempio, si ritirano nella giungla per conseguire questa visione; coloro che hanno avuto soltanto dei sogni, ricevono poteri magici minori. I Dukun del Minangkabau di Sumatra, si istruiscono in solitudine su una montagna: là apprendono il modo di rendersi invisibili e riescono a vedere, di notte, le anime dei morti.
Nella maggior parte delle culture sciamaniche, lo spirito ausiliare ha forme animali: tra gli Yakuti, ogni sciamano ha un suo ié-kyla (animale-madre) , una sorta di immagine mitica di un animale ausiliario, che viene tenuto celato. Presso gli sciamani eschimesi, invece, dopo l’illuminazione, lo sciamano deve procurarsi da sé i suoi spiriti ausiliari: la lontra, il gufo, l’orso, il cane, il pescecane ed ogni specie di spiriti delle montagne, sono ausiliari possenti ed efficaci. Presso gli Eschimesi dell’Alaska, il potere di uno sciamano è grande tanto quanto il numero degli spiriti ausiliari che possiede. Nell’America del Sud tropicale, si entra in possesso degli spiriti al termine dell’iniziazione: essi penetrano nello sciamano sia direttamente, sia sotto specie di cristalli di rocca che cadono nella bisaccia. Nel mondo sciamanico, la presenza di uno spirito ausiliare, il dialogo con esso in una lingua segreta o l’incarnazione di questo spirito nella persona dello sciamano (maschere, danze, gesti, ecc.), dimostra che egli è capace di abbandonare la condizione umana. A partire dai tempi più remoti, quasi tutti gli animali sono stati concepiti sia come esseri psicopompi, che accompagnano le anime nell’aldilà, sia come la nuova forma che assume il defunto; l’animale simboleggia la relazione diretta con il mondo ultraterreno. Infine, bisogna tener conto della solidarietà mistica tra l’uomo e l’animale, che costituisce una nota dominante nella società dei cacciatori primordiali. Ogni volta che uno sciamano si lega al mondo degli animali, egli ristabilisce, in un certo qual modo, la situazione che esisteva in illo tempore, nei tempi mitici, quando la frattura fra l’uomo e l’animale non si era ancora compiuta.
Dopo aver analizzato gli aspetti legati alla spiritualità di uno sciamano è doveroso descrivere gli aspetti materiali della sua vita per avere un’immagine più ampia delle sue abitudini, dei metodi di sostentamento di un uomo, che generalmente è anche un padre di famiglia, talvolta impegnato in attività quotidiane e perfettamente inserito in una società strutturata. Le società native forniscono agli sciamani e alle loro famiglie, cibo e altre forme di assistenza in cambio dei loro servizi di guarigione o divinazione. Dato che questa forma nativa di scambio è molto più sottile degli scambi impersonali di denaro della nostra economia, alcuni occidentali hanno erroneamente ritenuto che gli sciamani non ricevano pagamenti per le loro attività, sopratutto perché questi scambi non vengono menzionati pubblicamente. In occidente circola un certo idealismo romantico circa l’aspetto materiale dello sciamanismo. E’ dato sapere che tra i nativi americani della costa nord-occidentale, non è inusuale fare un’offerta di un centinaio di dollari per una seduta di guarigione di un paio d’ore, denaro che viene diviso tra lo sciamano stesso e i suonatori di tamburo. Tra gli Shuar dell’Alta Amazzonia, il pagamento per una seduta di guarigione tenuta da un importante sciamano, consisteva tradizionalmente in un maialino, un copricapo di piume, una cerbottana o un fucile. Inoltre se lo sciamano doveva affrontare un lungo viaggio per recarsi da un malato, spesso il pagamento veniva richiesto in anticipo. La ricompensa materiale però, non è la preoccupazione principale per gli sciamani, questo potrebbe interferire sulla concentrazione necessaria per operare in modo generoso e compassionevole. I nativi, al tramonto, terminate le normali occupazioni della giornata, iniziano le loro attività sciamaniche per la comunità. E’ un lavoro a volte estenuante che include ore di danza, tambureggiamento e altra attività fisiche, come avviene in Siberia.
Molti antropologi asseriscono che si diventa sciamani, nonostante la fatica e l’impegno, per acquisire prestigio e potere sociale, ma se si osserva lo sciamanismo transculturalmente e dall’interno, si può notare che i fattori sociali non sono particolarmente importanti, difatti, vi sono ricompense non materiali molto più grandi: la gioia e l’estasi spirituale, sono un risultato comune del lavoro con gli spiriti e dell’aiuto offerto alle persone che soffrono.
Nel percorso che lo sciamano intraprende per diventare tale, diversi sono i metodi per acquisire il suo potere e le prove che deve sostenere. Colui che diventa sciamano, inizia una nuova vita attraverso una crisi spirituale, un cambiamento strutturale e profondo non privo di grandezza tragica , né di bellezza.
Modalità di acquisizione del potere sciamanico
Le principali vie di reclutamento degli sciamani sono:
- la trasmissione ereditaria;
- la vocazione spontanea detta anche “chiamata” o “elezione”.
Colui che diventa sciamano mediante la sua volontà o per volontà del clan, viene considerato meno potente di quelli che hanno ereditato la professione o che hanno ricevuto la “chiamata” degli dei e degli spiriti.
Uno sciamano viene riconosciuto tale dopo aver ricevuto una doppia istruzione :
- istruzione d’ordine estatico (sogni, trance, ecc.);
- istruzione d’ordine tradizionale (tecniche sciamaniche, nomi e funzioni degli spiriti, mitologia, genealogia del clan, linguaggio segreto, ecc.).
Questa doppia istruzione, impartita dagli spiriti o dai vecchi maestri, equivale ad un’iniziazione.
In Lapponia, il dono si trasmette all’interno della famiglia ma può essere anche conferito dagli spiriti ad un elemento esterno. Presso i Samoiedi Yurak, il futuro sciamano viene identificato sin dalla nascita: all’avvicinarsi della maturità il candidato inizia ad avere visioni, canta durante il sonno, ama passeggiare in luoghi solitari e così via; dopo questo periodo di “incubazione” egli si unisce ad un vecchio sciamano per essere istruito. Chi non ha figli può trasmettere “la Via” ad un amico o un discepolo. Ad ogni modo, coloro che sono destinati a diventare sciamani, passano la giovinezza ad esercitarsi e a padroneggiare le dottrine e le tecniche dell’antica arte.
Presso gli Yakuti invece, il dono non è ereditario, la persona destinata inizia d’un tratto a mostrarsi furiosa, perde la coscienza abituale, si ritira nelle foreste e si ferisce. In questa caso, la famiglia ricorre ad un vecchio sciamano per istruire il giovano smarrito.
E’ importante sottolineare che l’istruzione non avviene se non dopo la prima esperienza estatica e che si può divenire sciamani, solo dopo che sono trascorsi molti anni dalla prima estasi.
Un fattore essenziale è il riconoscimento da parte della comunità, senza il quale, nessuno può esercitare la sua funzione. Per questa ragione molti sono costretti a rinunciarvi, quando il clan non li riconosce degni di essere sciamani.
Iniziazione
L’iniziazione segna il confine tra il sacro e il profano, trasforma l’uomo, lo rende consapevole e capace di vivere una spiritualità viva e piena. Il percorso che l’apprendista sciamano intraprende, passa attraverso diverse esperienze estatiche quali, “passione”, “morte” e “resurrezione”. La sofferenza fisica trova una sua precisa traduzione nei termini di una morte (simbolica) iniziatica, necessaria per compiere il passo verso la sua metamorfosi religiosa, l’estasi non è che l’ esperienza concreta della morte rituale.
Il candidato vive una graduale trasformazione, diviene meditativo, cerca la solitudine, dorme molto, sembra assente, ha sogni profetici: tutti questi sintomi sono il preludio della nuova vita che lo aspetta.
In Siberia e in alcune parti del Sudamerica, era comune acquisire il potere sciamanico in seguito ad una grave malattia, che aveva portato l’individuo sulla soglia della morte. Se il malato guariva improvvisamente e miracolosamente, la comunità concludeva che uno spirito ne aveva avuto compassione ed era intervenuto per guarirlo. Successivamente, la persona veniva avvicinata dai membri della comunità, per vedere se lui era in grado di sanare altre persone: in questo modo, poteva nascere uno sciamano. Nel saggio “Divine election in primitive religion” di Shternberg, troviamo il racconto di uno sciamano golda sul suo percorso da guaritore : “Gli anziani dicono che qualche generazione fa tre grandi sciamani facevano parte della mia famiglia. Non si conoscono sciamani fra i miei ascendenti più prossimi. I miei genitori godono di una perfetta salute. Io ho quarant’anni, sono sposato e non ho figli. Fino a venti anni stavo benissimo; poi mi ammalai, il corpo mi doleva, avevo dei terribili mal di testa. Degli sciamani cercarono di guarirmi senza riuscirci. Quando io stesso mi misi a fare dello sciamanismo, il mio stato migliorò. Divenni sciamano dieci anni or sono, ma sul principio non esercitai questa qualità che su me stesso; è solo da tre anni che mi sono dato a curare anche gli altri. La professione dello sciamano è faticosa, molto, molto faticosa.”
Nell’Artico si hanno molti resoconti sull’ambigua connessione tra afflizione o malattia e ispirazione divina. I Ciukci, per esempio, paragonano il periodo preparatorio alla visione sciamanica, a una lunga e grave malattia, in effetti, la chiamata degli spiriti, è spesso una conseguenza diretta di una reale afflizione, di una disgrazia o di un pericolo. Nel linguaggio della teologia, la crisi iniziale dello sciamano, rappresenta la passione del guaritore, o, come dicono gli indiani Akawaio: “Un uomo deve morire prima di diventare sciamano“. Da ciò si evince che, ogni “malattia-vocazione” ha il valore di una iniziazione, infatti, le sofferenze da essa causate, corrispondono alle torture iniziatiche; l’isolamento psichico di un malato scelto è l’equivalente dell’isolamento e della solitudine rituale delle cerimonie iniziatiche, l’imminenza della morte avvertita dal malato (agonia, incoscienza, ecc.), ricorda la morte simbolica che figura nella maggior parte di molte iniziazioni.
Pertanto, non possiamo considerare gli sciamani dei semplici malati, la loro esperienza ha un contenuto teorico: essi sono guariti da sé e sanno guarire gli altri, ciò denota che conoscono il meccanismo, o meglio, la “teoria della malattia”. Tuttavia, non occorre necessariamente ammalarsi per aspirare al potere. Le culture sciamaniche tradizionali, incoraggiano giovani in perfetta salute, a sottoporsi volontariamente alla sofferenza, affinché gli spiriti ancestrali possano aiutarli, condividendo il loro potere. Nella ricerca della visione attraverso una sofferenza volontaria, il cercatore si mette alla prova, affrontando paura, fame, sete, freddo o caldo estremi: il fine è proprio quello di evocare l’aiuto compassionevole degli spiriti potenti.
Tra gli Inuit dell’Artico, ad esempio, un modo per aver successo nella ricerca della visione, consisteva nel trascorrere quattro giorni nel cuore dell’inverno, in uno speciale igloo isolato, senza cibo e senza acqua. Alcune testimonianze riportano che la persona in cerca del potere poteva rimanere nuda per tutto il periodo.
L’induzione volontaria di sofferenza tra i nativi americani della Grandi pianure nel Nordamerica, avveniva con il rito della purificazione nella “capanna sudatoria” , dove ci si sottoponeva ad un grande calore e alla conseguente disidratazione: qui gli spiriti potevano apparire e manifestarsi. Successivamente l’iniziato saliva sulla cima di una montagna, accompagnato da uno sciamano-sacerdote e da altri anziani, dove rimaneva in solitudine per un periodo di giorni stabilito, dopo il quale, gli anziani andavano a riprenderlo.
Perchè questi spiriti ancestrali dovrebbero fornire aiuto? Come precedentemente accennato, lo sciamano rispetta una precisa cosmologia, egli può viaggiare sia nel Mondo di Sopra che nel Mondo di Sotto. Gli spiriti in grado di aiutare e intercedere tramite visioni o sogni, una volta lasciata la realtà ordinaria, scelgono invece di rimanere nel Mondo di Mezzo, per sostenere i loro discendenti o gli alleati dei loro discendenti. Correttamente invocati e convinti che il richiedente meriti di ricevere aiuto, questi spiriti appaiono nella forma da loro scelta, comunicano, conferiscono potere per aiutare il cercatore a superare le difficoltà e i pericoli della vita; la loro compassione protettiva è generalmente legata a due condizioni: tendono ad aiutare i discendenti finché questi ultimi li onorino, li ricordino, e possano essere estremamente vendicativi nei confronti di chi minaccia i loro alleati.
Dopo l’iniziazione, colui che diventa sciamano, è in grado di “vedere”. Il termine “veggente” si può anche riferire agli antichi sciamani europei, i quali erano indicati come “coloro che vedono”. Anche gli indios Matsigenka dell’Alta Amazzonia chiamano lo sciamano: “colui che vede”. Ma nello sciamanismo “vedere” ha un significato molto più ampio, è più che un semplice “visualizzare”, perché è una visione che avviene attraverso tutti i sensi. Gli sciamani si distinguono da chi semplicemente crede negli spiriti, poiché essi hanno un’esperienza diretta con loro: li vedono, li toccano, li odono, li odorano e parlano con loro.
Il potere di “vedere attraverso” è un tratto comune dell’esperienza sciamanica. Questo potere è una luce che trapassa la materia, come scrive Knud Rasmussen a proposito degli eschimesi Iglulik:
“La prima volta che un giovane sciamano sperimenta questa luce, mentre seduto su una panca [nell’oscurità dell’igloo] invoca i suoi spiriti aiutanti, è come se la costruzione in cui si trova si sollevasse di colpo. Egli vede lontano, attraverso le montagne, come se la terra fosse soltanto un’immensa pianura di cui il suo sguardo arriva alla fine. Niente più gli rimane nascosto”.
Presso numerose popolazioni primitive, l’ufficio di un medicine-man può essere volontario, non ereditario e può appartenere alla semplice volontà di un singolo individuo. Ciò vuol dire che dovunque nel mondo, viene concessa la possibilità di ottenere poteri magico-religiosi, sia spontaneamente, attraverso una malattia, un sogno, un incontro fortuito, sia volontariamente, con una ricerca personale. Colui che intende intraprendere “la Via dello sciamano”, in virtù di alcune tecniche tradizionali, può conseguire un accrescimento delle proprie facoltà magico-religiose. Egli non mira a mutare il suo stato socio-religioso, ma desidera semplicemente accrescere le sue capacità vitali e spirituali. La sua ricerca modesta e limitata rientra fra i comportamenti tipici ed elementari dell’uomo dinanzi al sacro. Con questa premessa, si evince che la ricerca della spiritualità attraverso lo sciamanismo, potrebbe estendersi anche a noi occidentali, apparentemente lontani e incompatibili con questa antica pratica sacra.
“…Gli sciamani aborigeni, lungi dall’essere furfanti, ciarlatani o ignoranti, sono uomini di grande sapere; cioè uomini che hanno raggiunto un grado di conoscenza della vita segreta che va oltre quello raggiunto dalla maggioranza degli altri – un risultato che implica disciplinato addestramento mentale, coraggio e perseveranza.
Sono uomini rispettati e spesso di eccezionale personalità. Essi hanno un immenso valore sociale, in quanto la salute psicologica del gruppo dipende largamente dalla fede nei loro poteri.
I vari poteri psichici che sono loro attributi non devono essere respinti come semplice magia primitiva e “finzione”, perché molti di essi si sono specializzati nello studio della mente umana e dell’influenza della mente sul corpo e su se stessa…”
(Da Aboriginal Man of High Degree dell’ antropologo australiano A. P. Elkin)
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